Le soft skill. Competenze trasversali sempre più richieste dal mercato del lavoro

Le soft skill. Competenze trasversali sempre più richieste dal mercato del lavoro

L’ufficio HR, negli ultimi anni ha spostato l’attenzione della selezione, oltre che sulle consuete capacità tecniche e conoscenze specifiche, anche sulle cosiddette soft skill o competenze trasversali.

Cosa sono

Quest’ultime non sono altro che caratteristiche attitudinali che un buon candidato riesce a portare all’interno dell’azienda, incrementando il suo “pacchetto” e portando beneficio alla realtà stessa.

Le soft skill rientrano in quel gruppo che può essere definito come competenze di vita; esse hanno infatti a che fare con la persona da un punto di vista del proprio benessere a livello emotivo, cognitivo e sociale.

Riuscire a comprendere queste capacità è dunque diventato fondamentale. I recruiter delle agenzie per il lavoro non si fermano più ai soli requisiti pratici, ma cercano di andare a fondo e conoscere la persona che stanno colloquiando. Si cerca di andare oltre al mero curriculum vitae approfondendo ogni abilità.

 

Identificare le proprie soft skill?

Ma come si riconoscono le proprie soft skill? Come si fa capire dove si è carenti e dove invece si è “forti”?

Oggigiorno sono numerosi i test che si possono fare per “misurare” queste nostre capacità; tra i più conosciuti, per esempio, c’è quello che si basa sul modello dei Big Five o il RIASEC. Tuttavia, questi metodi restituiscono una lettura troppo superficiale e “meccanica”.

La vera valutazione delle nostre competenze nasce, e così dev’essere, da un processo personale anteriore, ovvero dalla consapevolezza di chi siamo, quali sono le qualità che ci danno forza e quali i nostri.

Il processo della conoscenza del nostro io non è breve, non è immediata, ma è il frutto di una crescita quotidiana che il mondo del lavoro e la vita stessa, ci permettono di sviluppare superando loro ostacoli e imprevisti.

E’ a seguito di questa crescita che ci conosciamo e che possiamo apportare quel qualcosa in più che le aziende cercano e valutano.

 

Prestazione e risultato

Da qui nasce anche la differenza tra la prestazione effettiva (risultato) e il potenziale che ognuno di noi potrebbe esprimere, ma che non riesce a fare.

All’interno dell’azienda, la prestazione può essere definita come la misurazione dell’efficacia di ogni singolo dipendente in relazione alla posizione ricoperta.

Il processo di valutazione della prestazione aiuta a definire quanto e in che modo la persona ha partecipato al raggiungimento degli obiettivi dell’azienda.

Al contrario, il potenziale è la capacità che un individuo potrebbe esprimere nello svolgimento delle attività previste dalla posizione che ricopre. A differenza della valutazione delle performance, basata sull’osservazione dei risultati passati, la valutazione del potenziale sposta lo sguardo sul medio-lungo periodo.

L’attrito tra potenziale e prestazione rinvia al contrasto fra il paradigma cognitivista e il paradigma comportamentista: il primo si concentra sui processi, mentre il secondo sui risultati.

Secondo l’approccio cognitivista, infatti, i risultati vanno completati da un’analisi dei processi per individuare le cause delle buone e delle cattive prestazioni, poiché circostanze fuori dal controllo individuale possono favorire l’errore.

L’attenzione ai processi garantisce una maggior efficacia nel medio lungo periodo; al contrario, favorire i risultati significa privilegiare un’efficacia di breve periodo. 

Questo è il motivo per cui la prima polarità trova nell’istruzione un terreno propizio, mentre nell’azienda, soprattutto in momenti di assidua competizione sui mercati ed incertezza sul futuro, si favorisce la seconda. 

 

L’attuale ruolo delle competenze

Attualmente la questione della trasferibilità delle competenze è uno dei temi più salienti data l’esistenza di mercati del lavoro sempre più fluidi e costantemente alle prese con un aumento delle innovazioni tecnologiche e organizzative.

Le attuali evoluzioni del mondo del lavoro, con la loro rapidità, impongono sempre più di cambiare lavoro, o addirittura professione, più volte nel corso della vita.

In questo contesto, la formazione non può ridursi a preparare il soggetto a un lavoro definito, bensì è tenuta a fornirgli competenze generali, sfruttabili in situazioni professionali variabili ed imprevedibili.

L’obiettivo è ricercare competenze comuni a diverse professioni per consentirne il trasferimento tra un settore e l’altro.

Prendendo come esempio un iceberg, la parte emersa è correlabile alle competenze strettamente professionali/specialistiche, mentre quella sommersa alle competenze trasversali: applicando questo esempio alla realtà attuale, è noto come le aziende non cerchino esclusivamente personale in grado di svolgere una professione, bensì siano sempre più richieste adesione, partecipazione e coinvolgimento, ovvero quelle competenze soft, immateriali, che possono fare la differenza.

 

Il successo risiede nell’avere proprio quelle competenze richieste in quell’istante. (Henry Ford)

Autore: Dott. Davide Villa