Mobbing e doppio mobbing

Mobbing e doppio mobbing

 

Origine del termine

Il termine “mobbing” (dal verbo inglese “to mob” che significa “aggredire, attaccare”) indica un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori che avvengono sul luogo di lavoro, con lo scopo di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima. Quando invece il mobbing continua anche tra le pareti domestiche, si parla di Doppio Mobbing.

Cominciamo dalle definizioni iniziali.

Il termine è stato coniato dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento aggressivo tra individui della stessa specie che hanno l’obiettivo di escludere un membro del gruppo. Negli anni ’80 lo psicologo svedese Heinz Leymann ha definito il mobbing “una comunicazione ostile, non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo individuo.”

Dunque identifichiamo il Mobbing come un fenomeno contraddistinto da terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitato attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori, che portano la vittima a sperimentare numerose conseguenze negative quali stress psicofisico, mortificazione, demansionamento, isolamento.

Le fasi del mobbing

Vediamo nello specifico le varie fasi che costituiscono il mobbing:

  • “CONDIZIONE ZERO”: si tratta di una sorta di “pre fase” in cui il conflitto è visto come fisiologico, normale e accettato. Si tratta di un conflitto generalizzato in cui non è sempre presente una vittima designata, più che altro emergono conflitti tra diversi colleghi ed è presente la volontà di prevalere sull’altro ma non è presente nessuna volontà di aggredire.
  • I FASE: conflitto mirato: è la fase in cui si individua una vittima e si proietta verso di lei tutta la conflittualità, qui l’obiettivo principale diventa quello di distruggere l’avversario, non solo con argomenti attinenti al lavoro ma anche a livello personale.
  • II FASE: inizio del mobbing: la vittima inizia a percepire le prime conseguenze negative del conflitto/attacco sulla sua persona come il senso di disagio e irritazione, inoltre c’è un peggioramento generale delle relazioni con i colleghi mobber ma anche in generale il mobbizzato inizia a chiedersi cosa sta succedendo e quali possono essere le motivazioni.
  • III FASE: primi sintomi psico-somatici: il mobbizzato inizia a stare male sia a livello fisico (insonnia, problemi di digestione) che psicologico (senso di insicurezza, attacchi di ansia).
  • IV FASE: errori ed abusi dell’amministrazione del personale: in questa fase il caso di Mobbing diventa di pubblico dominio e spesso viene favorito da alcuni errori di valutazione da parte dell’ufficio del Personale, che inizia ad insospettirsi per le eventuali assenze per malattia della vittima.
  • V FASE: serio aggravamento della salute psico fisica della vittima: la vittima inizia a soffrire di forme depressive più o meno gravi e può arrivare anche a curarsi con psicofarmaci e terapie, non risolvendo il malessere poiché la causa rimane sul lavoro e spesso si convince di essere senza via d’uscita addentrandosi maggiormente nella depressione.
  • VI FASE: esclusione dal mondo del lavoro: la vittima fugge dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o nei casi più gravi anche esiti più estremi quali il suicidio.

Il doppio mobbing

Quando la vittima di mobbing, dopo una lunga e stressante giornata a lavoro, rientra a casa dai propri familiari, si trova in un luogo finalmente “sicuro” dove potersi rilassare ma anche sfogare. Il mobbizzato finisce quindi per portare in famiglia le sue frustrazioni e sfogare nell’ambiente familiare la sua tensione accumulata durante le ore lavorative. Questo spesso porta a far incrinare i rapporti anche con i membri del suo nucleo familiare i quali, dopo un periodo di sostegno iniziale, non riuscendo ad assorbire e a gestire gli sfoghi reiterati e il malessere esasperato del proprio familiare mobbizzato, reagiscono con una sorta di autodifesa. Il mobbizzato viene percepito infatti non più come una vittima ma come un problema per l’equilibrio familiare e viene allontanato: molto spesso questo fenomeno è inconscio e i familiari del mobbizzato non si rendono conto della situazione di malessere che la vittima manifesta non soltanto a causa del mobbing vissuto a lavoro ma anche a causa del mancato sostegno familiare a casa.

Il Doppio Mobbing indica quindi la situazione in cui la vittima si viene a trovare in questo caso: non solo perseguitata sul posto di lavoro ma anche privata della comprensione e dell’aiuto della famiglia.

Conclusione – Cosa fare in caso di Mobbing

A chi può rivolgersi una persona che subisce mobbing? In Italia purtroppo non esistono centri di competenza in grado di supportare un lavoratore vittima di vessazioni sul lavoro.

Le uniche alternative possibili sono quella di rivolgersi a un legale per avere una consulenza ovvero ricorrere a enti di supporto, se sono presenti nella propria città, quali ad esempio alcune Organizzazioni Sindacali, che offrono un sostegno in termini di consulenza deontologica e di assistenza legale.

In caso di reati penali è indispensabile rivolgersi a un Avvocato penalista; a tal proposito esistono studi giuslavoristi specializzati in mobbing e discriminazioni lavorative.

 

Autore: Dott.ssa Giulia Granata