Proroga del divieto di licenziamento: le nuove condizioni del Decreto di Agosto

 

Proroga del divieto di licenziamento: le nuove condizioni del Decreto di Agosto.

In data 14 agosto 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso D.L. n. 104/2020, meglio conosciuto come “Decreto di Agosto”, entrato in vigore il 15 agosto 2020.

Tra le varie previsioni volte ad affrontare le conseguenze derivanti dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il decreto legge contempla ancora una volta misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori e, in particolare, interviene nuovamente con riferimento alla sospensione dell’esercizio della facoltà di procedere a licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo.

Come ricorderete, prima dell’entrata in vigore del Decreto di Agosto, il divieto di perfezionare i licenziamenti era stato esteso dal D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) a tutte le aziende indistintamente sino al 16 agosto 2020.

Ora, con il D.L. n. 104/2020 il c.d. “blocco dei licenziamenti” non ha più un termine unico e generalizzato per tutte le aziende, bensì un termine mobile e differente da azienda ad azienda, pur sempre nel rispetto del termine massimo del 31 dicembre 2020.

L’articolo 14 del recente decreto prevede, infatti, la preclusione della facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della L. n. 604/1966, nonché la preclusione della facoltà di avviare le procedure di cui agli articoli 4 (rientro dalla cassa integrazione straordinaria e impossibilità di assicurare la ricollocazione a tutto il personale interessato), 5 (individuazione dei criteri per procedere al licenziamento collettivo nella fase finale della procedura) e 24 (imprese con più di 15 dipendenti che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti in un arco temporale di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive di una stessa provincia) della L. n. 223/1991 per i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 previsti dall’articolo 1 del medesimo decreto (9 settimane a partire dal 13 luglio, oltre ad ulteriori 9 settimane a determinate condizioni) o che stiano ancora fruendo dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali previsto per 4 mesi in favore di quei datori di lavoro che non godano degli ammortizzatori sociali (articolo 3 del decreto).

Conseguentemente, come è facile intuire, la data della sospensione della facoltà di recedere dal rapporto non sarà uguale per tutti i datori di lavoro, giacché essa dovrà essere correlata alla fruizione delle ulteriori 18 settimane di trattamento di integrazione salariale o, in alternativa, ai 4 mesi di esenzione contributiva citati.

Allo stesso modo restano sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della L. n. 604/1966 e le procedure di licenziamento collettivo avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

L’unica eccezione contemplata dal Legislatore è quella del cambio di appalto, nel caso in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola inserita nel contratto di appalto.

Tuttavia, tali preclusioni e sospensioni non si applicano nelle seguenti ipotesi derogatorie:

  1. licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività. Conseguentemente, ove invece dalla cessazione dell’attività si configuri un trasferimento di azienda o di ramo di azienda tale da rientrare nel perimetro della disciplina di cui all’articolo 2112 c.c., troverebbero applicazione le tutele del personale di cui all’articolo 14 del Decreto di Agosto;
  2. specifica adesione da parte dei dipendenti ad un accordo collettivo aziendale stipulato tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, che preveda l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro per i dipendenti che vi aderiscono, ai quali viene peraltro riconosciuto il diritto alla NASpI;
  3. licenziamenti intimati conseguentemente al fallimento della società, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione.

I recessi disposti in violazione della normativa descritta devono considerarsi nulli, in quanto attivati in violazione di una norma di legge, e il lavoratore ha comunque diritto, se dovuta, all’indennità di disoccupazione, come affermato dall’INPS con messaggio n. 2261 in data 1 giugno 2020, rilasciato su parere conforme dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro.

Ad ogni modo, l’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 sembrerebbe ammettere la conciliazione in sede protetta sul licenziamento nullo.

Si ricorda, come abbiamo già avuto occasione di precisare in altre occasioni, che le limitazioni descritte non si applicano alle ipotesi di licenziamento per giusta causa, licenziamento per giustificato motivo soggettivo, licenziamento per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, licenziamento per la fruizione del pensionamento per la c.d. “Quota 100”, licenziamento dovuto a superamento del periodo di comporto, licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente (punto su cui, tuttavia, si dibatte in dottrina giuslavoristica), licenziamento del lavoratore in prova per mancato superamento del periodo di prova, licenziamento del dirigente motivato dal requisito della c.d. “giustificatezza”, licenziamento del lavoratore domestico, recesso al termine del periodo formativo di apprendistato.

Infine, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della L. n. 300/1970 (c.d. “Statuto dei Lavoratori”), l’articolo 14 riconosce al datore di lavoro la facoltà di revocare in ogni tempo il recesso dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo comunicato nell’anno 2020, purché contestualmente faccia richiesta di trattamento di cassa integrazione salariale a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento stesso. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni a carico del datore di lavoro.

 

Autore: Avv. Roberta Amoruso